La lotta contro l'erosione delle spiagge italiane, che continuano ad assottigliarsi mentre il mare avanza, è un fallimento che si può riassumere con pochi numeri. In mezzo secolo, dal tempo della Commissione De Marchi per la difesa del suolo, abbiamo costruito 1.300 chilometri di barriere di protezione e abbiamo mosso 35 milioni di metri cubi di sabbia.
Risultato: il danno è più che raddoppiato. Negli anni Ottanta i chilometri di spiaggia in arretramento erano 600, oggi sono diventati 1.300. Un disastro costoso, visto che per realizzare questo clamoroso autogol abbiamo speso 4,5 miliardi di euro. E colposo, visto che i campanelli d'allarme avevano cominciato a suonare più di 30 anni fa.
I dati emergono dall'analisi condotta da un gruppo di esperti del settore. "Sono stati fatti interventi spot che hanno finito per aggravare il problema. Molti sindaci hanno costruito un pennello di cemento a difesa della loro spiaggia, spesso danneggiando quella vicina: forse loro hanno guadagnato qualche voto, tutti abbiamo perso molto" commenta Diego Paltrinieri, cofondatore dell'Osservatorio sull'erosione costiera.
Ecco un paio di esempi citati nell'analisi. Sul litorale di Ostia, dopo aver speso 50 milioni di euro in interventi vari, tra il 1990 e il 2015 l'erosione è passata da 50 mila metri quadrati a 120 mila. Nella Baia di Giardini Naxos la costruzione del molo di un porto, mai ultimato, ha cambiato l'equilibrio su cui si fondava una delle più belle spiagge della Sicilia innescando un processo di erosione non fermato dalle barriere frangiflutti realizzate negli anni Ottanta: solo negli ultimi 5 anni il trend si è invertito grazie all'apporto di nuova sabbia.
"L'errore è pensare di fronteggiare un quadro in continua evoluzione con sistemi rigidi che finiscono per peggiorare la situazione " commenta Giovanni Randazzo, docente di geologia ambientale all'Università di Messina. "Invece di murare il mare bisogna intervenire con sabbia estratta da depositi marini. Costa di meno e funziona: la spiaggia di Miami, quella di Montecarlo e quella di Copacabana sono tutte artificiali. A Miami hanno portato 10 milioni di metri cubi di sabbia per avviare il processo e ne spostano un milione all'anno per la manutenzione. A Sant'Alessio, invece, tra Messina e Taormina, negli anni 70 è stato costruito un lungomare sulla linea delle dune che ha cancellato buona parte della bellissima spiaggia e le massicciate fatte subito dopo per frenare l'erosione l'hanno accelerata".
Ai danni degli interventi sbagliati si aggiungono quelli prodotti dall'assalto al territorio. Come ricorda Sebastiano Venneri, responsabile mare di Legambiente, metà delle coste è stata stravolta dall'urbanizzazione e il risultato di questa moltiplicazione di porti, moli, barriere è una modifica del flusso delle correnti che moltiplica l'effetto erosione. Sulla necessità di un cambiamento di rotta concorda Silvia Velo, sottosegretario al ministero dell'Ambiente: "Il Tavolo di lavoro ministero - Regioni costiere ha messo a punto linee guida che serviranno a dare efficacia all'impegno contro l'erosione e le sue diverse cause, compresa la riduzione dell'apporto fluviale di sabbia e materiali in sospensione causata dalle dighe e dagli interventi sugli alvei".
E infatti la storia dell'erosione delle nostre coste coincide con quella di uno sviluppo industriale ignaro dell'impatto ambientale delle sue azioni. Lo spiega Enzo Pranzini, docente di Dinamica e difesa dei litorali all'Università di Firenze: "Il processo è cominciato a Nord con la costruzione delle grandi dighe che hanno bloccato l'apporto di sedimenti alla foce dei fiumi. Poi, man mano che le autostrade, le ferrovie, le cave scendevano verso Sud, l'erosione ha seguito. Ormai il 42 per cento delle spiagge italiane arretra: i muraglioni a pennello possono proteggere un piccolo golfo, ma se si tratta di difendere lunghi tratti di costa sabbiosa spesso spostano il problema invece di risolverlo. E a questo dato bisogna sommare il danno paesaggistico prodotto dalla cementificazione del mare".
I problemi non finiscono qui. Il caos climatico ha portato la velocità di crescita del mare a superare i 3 millimetri l'anno, con proiezioni Onu a fine secolo che arrivano a sfiorare il metro e altre stime ancora più allarmanti. "Da sempre le spiagge si spostano seguendo la fluttuazione degli oceani, ma oggi il mare si trova di fronte un muro di case e strade: dunque questa volta le spiagge rischiano non di arretrare ma di sparire", continua Pranzini. "L'unica soluzione è ridurre le cause del problema, dalla gestione sbagliata del territorio al cambiamento climatico, e contemporaneamente accompagnare i processi naturali spostando quantità di sabbia sufficienti a difendere le spiagge".
13-sett-2017
crediti foto: repubblica.it