Tale tipo di rischio viene valutato in base ai terremoti storicamente avvenuti nell’area e all’intensità che alcuni di essi hanno raggiunto.
La sismicità della penisola italiana è dovuta alle spinte compressive che si sviluppano nella zona di convergenza tra la placca africana e quella euroasiatica. È per questo motivo che le scosse di maggior intensità si concentrano nella parte centro-meridionale della penisola, come Sicilia e Calabria e in alcune aree settentrionali come Friuli e Liguria occidentale.
Nonostante le conoscenze raggiunte nel campo della geofisica che hanno aiutato a stilare le carte della pericolosità sismica italiana (Figura 10 §2.3), i danni causati dai terremoti rimangono ingenti ed eccessivi, soprattutto se messi in relazione con l’intensità dell’evento o se confrontati con i danni registrati in altri paesi come Giappone e California.
Durante un terremoto il terreno si muove sia orizzontalmente sia verticalmente, tale tipo di movimento fa scuotere gli edifici che subiscono danni in base al grado di deformazione che possono sostenere e alla durata dello scuotimento.
In questa tipologia di rischio, la vulnerabilità descritta con l’Eq. A corrisponde alla propensione della struttura a subire un danno di un determinato livello a fronte di un evento sismico di data intensità.
Tale parametro è stato calcolato su tutto il territorio grazie ai censimenti sulle abitazioni che hanno permesso, per mezzo di metodi statistici, di stilare una carta italiana in cui fossero mostrate le aree con le abitazioni più a rischio (Figura 1).
Figura 1: Mappa della distribuzione in percentuale delle abitazioni appartenenti alla classe di vulnerabilità più elevata (A) della scala MSK in Italia (fonte: Dipartimento di Protezione Civile, 2008).
A dispetto dell’attuale conoscenza del rischio sismico in Italia, il bilancio degli ultimi terremoti in termini di crolli, dissesti strutturali, danni alle infrastrutture e non ultimo fatalità conferma la debolezza di un sistema caratterizzato da una non completa, quando addirittura assente, sistematica attività di prevenzione e mitigazione del rischio sismico, che trova il suo retroterra anche nella non piena e diffusa consapevolezza del rischio, in altre parole quella “cultura del rischio” che, se capillare e distribuita ai vari livelli della società civile, potrebbe aiutare a ridurre l’esposizione rischio degli elementi esposti.
Sono un esempio di quanto appena detto i recenti eventi sismici occorsi in Emilia Romagna nelle date del 20/05/2012 e del 29/05/2012. L’evento più forte della sequenza sismica di Modena-Ferrara è stato quello delle ore 04:03, di magnitudo Richter (Ml) 5.9 con epicentro entro 10 km dal comune di Finale Emilia con profondità di 6.3 km (INGV, 2012).
Mentre la seconda scossa è è avvenuta alle ore 09.00 con profondità 10,2 km, magnitudo pari a 5.8 ed epicentro localizzato tra i comuni di Camposanto, Cavezzo, Medolla, Mirandola, San Felice sul Panaro, San Possidonio, San Prospero e di altri al confine tra le provincie di Modena e Mantova, (Comunicato dell’INGV 29 maggio ore 16:00).
Detti eventi purtroppo sono ulteriore testimonianza della poca sicurezza delle abitazioni e dei centri storici in molte regioni d’Italia, oltre che di una scarsa informazione a livello della cittadinanza, spesso ignara del rischio sismico dell’area in cui risiede.
Con riferimento agli eventi sismici del maggio scorso, un’analisi della carta della sismicità (Figura 2) e la ricostruzione della sequenza storica dei terremoti che hanno interessato l’area emiliana (Tabella 1.1) consentono di riconoscere una sensibile suscettibilità sismica nella zona di Mirandola e, più in generale, confermano che gli strumenti della conoscenza non sono sufficienti se non vengono tradotti in azioni dirette sul territorio e sugli elementi a rischio.
Figura 2: Mappa della pericolosità sismica dell’area interessata dai terremoti di maggio del corrente anno (fonte: comunicato dell’INGV; APPENDICE A).
Tabella 1.1: Tabella riassuntiva degli eventi sismici più significativi (MI >4.0) nell’area emiliana dal 1340 ad oggi.
Nonostante la comunità scientifica fosse a conoscenza della sismicità locale e dei potenziali rischi associati i danni e gli effetti occorsi nell’ultimo terremoto sembrerebbero suggerire una assente o non completa messa in sicurezza preventiva degli elementi esposti al rischio.
Alla prevenzione deve tuttavia coniugarsi una coordinata e tempestiva attività di monitoraggio prima, durante e dopo un sisma, quale quella svolta dall’INGV, ente italiano di ricerca sui fenomeni Geofisici e Vulcanologici, incaricato della gestione delle reti nazionali di monitoraggio per i fenomeni sismici e vulcanici. Le ricadute sono molteplici, non ultima una costante comunicazione alle autorità locali e, conseguentemente, alla popolazione durante le fasi emergenziali a fini di salvaguardia pubblica e dell’incolumità degli operatori; si tratta di relazioni redatte giornalmente dall’INGV in occasione dei terremoti occorsi in Emilia così da tenere aggiornati in particolar modo i cittadini interessati sugli sviluppi scientifici effettuati durante le prime ore.
Un esempio di questo tipo di documento redatto dall’INGV è riportato nell’APPENDICE A (Comunicato 20 maggio 2012), dal quale è possibile comprendere il meccanismo focale della scossa principale con gli assestamenti tellurici successivi.