Per rischio idrogeologico si intende il rischio connesso all’instabilità dei versanti dovuta alla conformazione geologica e geomorfologica del territorio ed aggravata da eventi metereologici di alta intensità.
Per quel che riguarda il territorio italiano, il dissesto idrogeologico è un problema di grande rilevanza, sul quale esercita un’influenza non trascurabile anche l’incuria dell’uomo in aggiunta a fattori naturali quali l’orografia ancora giovane e i rilievi in via di sollevamento.
Tali predisposizioni sono le condizioni ideali per l’innesco di: movimenti in massa (movimento di materiale causato dalla gravità); frane (movimento di roccia, detrito o terra lungo un versante); sprofondamenti; subsidenze (abbassamento generalizzato o differenziale del terreno); trasporti di massa (innescato dalle acque di ruscellamento).
Per la classificazione dei suddetti movimenti vengono seguite le indicazioni del Gruppo di Lavoro per l’Inventario Mondiale delle Frane (WP/WLI) che ha apportato le ultime modifiche in questo ambito negli anni 1993-1994. Seguendo tali criteri la descrizione dell’attività si suddivide:
a) stato di attività, tramite l’analisi della durata del movimento si riesce a valutare l’evoluzione del fenomeno potendo distinguere tra vari tipi di attività, basandosi su indicatori geomorfologici;
Figura 8: Frane di ribaltamento con diversi stati di attività.
1) attiva, 2) sospesa, 3) riattivata, 5) quiescente, 6) naturalmente sensibilizzata, 7) artificialmente sensibilizzata, 8) relitta (Cruden & Varnes, 1994).
b) distribuzione di attività, descrive le aree di frana basandosi sul movimento permettendo di comprendere il futuro sviluppo spaziale.
Figura 9: Frane con diversa distribuzione di attività. 1.In avanzamento; 2.retrogressiva; 3.multi- direzionale; 4.in diminuzione; 5.confinata; 7.in allargamento. La sezione 2 di ogni esempio mostra come appare il versante dopo il movimento sulla superficie di rottura (Cruden & Varnes, 1994)..
c) stile di attività, individua i vari tipi di movimento che compongono una frana raggruppandoli sotto uno stesso insieme che definisce la frana: complessa, composita, successiva, singola o multipla.
La classificazione in questione è nata con l’obiettivo di semplificare e uniformare le definizioni in materia di movimenti di massa ma l’intento per cui è stata redatta non è stato in tutti i casi assolto. Infatti la catalogazione risulta non così agevole per fenomeni cosiddetti “complessi” ovvero frane caratterizzate da un movimento risultante dalla combinazione di due o più tipologie di frane. In questi termini Cruden & Varnes (1994) hanno suggerito di evitare l’uso del termine “complessa” e di classificare i fenomeni franosi costituiti da un’associazione di tipologie di movimento con una coppia di termini, uno riferito al primo movimento in scala temporale ed uno al secondo.
Seguendo invece un altro tipo di approccio le frane si distinguono in base al tipo di movimento (di crollo, ribaltamento, scivolamento, espansione e colamento), al tipo di materiale (roccia o terreno sciolto), al contenuto in acqua, alla velocità, alla distanza di propagazione ed allo stato di attività sopra citato. In base a questi parametri sono state elaborate varie classificazioni, fra le quali le più usate sono quelle di: Varnes (1978); Cruden & Varnes (1996) maggiormente utilizzata per le frane e, Hungr et al. (2001in particolare per la classificazione delle colate.
Figura 10: Tabella di confronto tra la classificazione Hungr et al. (2001) e Varnes (1978). (fonte: Prof. Nicola Casagli, dispense del corso di Geologia Applicata e Legislazione)
L’innesco dei suddetti tipi di movimento avviene quando:
(Eq. G)
dove F è chiamato Fattore sicurezza.
Tra le forze destabilizzanti si distinguono: quelle che aumentano la forza di taglio sul versante e quelle che riducono la resistenza al taglio del materiale. Tra le prime si annoverano l’aumento artificiale della pendenza del pendio tramite riporto, la rimozione del sostegno laterale in maniera naturale o artificiale, i sovraccarichi sul pendio come accumulo di neve, ghiaccio etc., mentre alle seconde appartengono le forze che provocano bassi valori di resistenza al taglio, i fattori che riducono gli sforzi effettivi e i fattori che riducono i parametri dai quali dipende la resistenza al taglio (Fell et al, 2008).
Per quel che riguarda invece le forze stabilizzanti, esse possono derivare da azioni sul territorio volte a creare condizioni di stabilità, come ad esempio le attività di rimboschimento che mirano a limitare l’erosione e il ruscellamento e a stabilizzare il versante.
Purtroppo spesso questo tipo di interventi di prevenzione e mitigazione del rischio non vengono attuati nei tempi e con le metodologie giuste. In proposito l’evento del Vajont del 9 ottobre 1963 è un esempio dimostrativo degli effetti di una scarsa o totale azione di prevenzione.