La valle del Vajont ha una conformazione stretta e lunga definita durante il Pleistocene dal ritiro dei ghiacciai wurmiani che imposero un’erosione di tipo torrentizio. Per la sua particolare genesi, la morfologia dell’intera area risultò essere la più idonea per la realizzazione di un réservoir idrico di approvvigionamento dei comuni limitrofi come da progetto proposto dalla Società Adriatica Di Elettricità (SADE).
A testimonianza di come la forzante antropica possa sommarsi ai fattori naturali di rischio idrogeologico, all’innesco della frana del Vajont contribuì in maniera significativa il disinteresse e la poca attenzione alle avvisaglie geologiche emerse negli anni precedenti all’evento catastrofico.
Anno |
Periodo |
Avvenimento |
Cause e/o Conseguenze |
1928 |
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Ingegner C. Semenza incaricato del progetto. Geologo G. Dal Piaz incaricato per le relazioni geologiche. |
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1957 |
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Variante del progetto per aumentare l’invaso fino da 58×106 m3 a 150×106 m3 elevando la struttura fino a 265m. |
La valutazione del geologo Giorgio Dal Piaz diceva:”…già il vecchio progetto mi pareva audace; questo nuovo mi fa tremare le vene ai polsi!...”. |
1959 |
Marzo |
Frana alla diga di Pontesei, 10 km da quella in costruzione. Crolla la diga del Malpasset vicino la cittadina di Fréjus |
Si effettuano nuovi studi sull’assetto geologico dell’area visto che i precedenti non erano abbastanza esaustivi data anche la scarsa normativa presente al tempo in materia |
Estate |
I geologi F .Giudici e E. Semenza riconoscono una paleofrana grazie agli studi geologici effettuati. |
1. Riconoscono la superficie di scivolamento come un contatto geologico anomalo, il piede di tale superficie era stato rimesso a nudo dall’azione erosiva del torrente Vajont. 2. Riconoscono una frana preistorica sull’altro lato della valle (Colle Isolato). |
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Novembre-Ottobre |
Indagine Sismiche che non danno gli stessi risultati delle indagini effettuate dai geologi |
Perché una frana di questa estensione può muoversi senza scompaginarsi molto interamente quindi le indagini sismiche non risultano le più adatte in questi casi. |
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19
60 |
Giugno-Ottobre |
1° fase d’invaso fino a 635m |
Si verificano varie frane sul versante. |
Novembre |
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Comparsa della fessura perimetrale continua per 2 km che era l’unico dato mancante ai geologi F. GiudicieE. Semenza. |
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1961 |
Gennaio |
Costruzione della galleria bypass |
Con la funzione di tenere collegati i due bacini che si sarebbero andati a formare nel caso in cui la frana fosse crollata, soprattutto alla luce degli ultimi dati emersi. |
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Luglio |
V iene incaricato dalla SADE il prof. Ghetti dell’Università di Pavia ad effettuare prove su dei modellini per valutare le possibili conseguenze del collasso del corpo di frana. |
Il prof. Ghetti essendo un professore di idraulica non aveva le conoscenze geologiche adeguate così parti da dei presupposti errati: •Diede per appurato che la frana sarebbe crollata n due eventi distinti. •Per riprodurre il versante del Monte Toc utilizzò la ghiaia del Piave che manca del tutto di coesione. |
Agosto |
Quattro piezometri vengono posizionati sul versante del Monte Toc |
Per valutare la profondità del piano di scivolamento. |
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1962 |
Luglio |
Consegna relazione del Prof. Ghetti |
Secondo il modellino solo se l’acqua nel serbatoio al momento del distacco si dovesse trovare a quota massima 700 m s.l.m. l’onda provocata sarebbe contenibile, in caso contrario l’onda sarebbe risultata avere un ampiezza ben più grande provocando un pericoloso dilavamento dei versanti ed una tracimazione della diga che avrebbe portato l’acqua fino a Longarone. |
Novembre-Dicembre |
2° prova d’invaso con successivo svaso rapido |
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1963 |
Aprile |
3° prova d’invaso fino a 710m nonostante le raccomandazioni del prof. Ghetti |
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9 Ottobre |
Innesco della frana |
Sul versante Nord del Monte Toc (che in friulano, contrazione di “patoc”, significa “marcio”) si stacco il corpo di frana con un volume stimato pari a 270×106 m3 provocando un onda intorno ai 200m. |
Gli studi successivi al 1963 su questo evento presero piede in tutto il modo data l’eccezionalità geologica del fenomeno e la grande risonanza mediatica di quegli anni. Henderson e Patton con il loro studio nel 1985 chiarirono molti aspetti dell’avvenimento:
1. Riconobbero le cause dell’innesco nella concomitanza di due fattori, le intense precipitazioni avvenute nel periodo autunnale del 1963 e lo svaso rapido del lago.
2. Attraverso gli studi di Charles e Soares, 1984 riguardanti l’invaso e quelli di Morganstern, 1963 riguardanti lo svaso rapido chiarirono che: durante l’invaso sul versate agivano due tipi di forze, quella dell’acqua che apportavano sostegno e quelle della pressione interstiziale che destabilizzavano ulteriormente il terreno. Nei momenti di svaso rapido invece venivano annullate le pressioni di confinamento stabilizzanti.
3. Tramite il Modello di Anderson riuscirono a spiegare l’eccezionale velocità dell’evento in quanto, a differenza dalle tipiche riattivazioni di frana che risultano piuttosto lente, la frana del Monte Toc acquisì una velocità di 20-30 m/s. Secondo il modello sopracitato queste velocità potevano avere luogo solo con una perdita del 60% dell’attrito lungo la superficie di scivolamento che fu in seguito accertata da Tike e Hutchinson nel 1999. Quest’ultimi effettuarono delle prove di taglio torsionale ad alta velocità sulle argille del Vajont dimostrando la loro perdita di resistenza ad alta velocità, già intuita negli studi di Henderson e Pattern.
Lo studio di questo evento evidenzia il ruolo fondamentale della natura durante la messa in opera dei progetti antropici, mettendo in risalto l’importanza che il ruolo di ogni esperto del settore ricopre così da lavorare in team senza trascurare nessun fattore. Fondamentale è il rispetto delle leggi e delle autorizzazioni da parte dei soggetti interessati ed il coordinamento tra di esse, cose che nella maggior parte dei casi vengono trascurate pensando di aiutare l’economia senza recare danno alle persone o all’ambiente ed è proprio quest’evento appena descritto che dimostra l’inadeguatezza di questo comportamento (Paolini, 1999; Merlin, 2001); (ConvegnoInternazionale, La memoria come strumento di tutela, Longarone, 2003).
Figura 11: Veduta della valle del Vajont in cui è percepibile l’area di distacco della frana del 1963 (di modificata da Google Earth).
La zonazione dei comuni a rischio sismico rappresenta un’importante risultanza dell’attività conoscitiva e preventiva svolta in ambito di protezione civile ed è propedeutica a un’attività edilizia accorta e consapevole, specie nelle aree riconosciute ad elevata suscettibilità da eventi tellurici. Tale mappatura è strumento informativo per la popolazione, nella prospettiva di una efficace educazione al rischio
Anche la prevenzione per il rischio vulcanico è svolta come la precedente dall’INGV affiancata da altri Centri di Competenza quali: PLINIVS-Lupt (centro studio dell' Università degli studi di Napoli Federico II), Dst Unifi (Dipartimento scienze della terra Università degli Studi di Firenze), etc.
Tale attività si suddivide principalmente in due fasi:
- Sorveglianza dei vulcani, tramite gli strumenti di monitoraggio che rilevano i parametri fisico-chimici per determinare lo stato di attività del corpo vulcanico sia lo studio degli affioramenti vulcanici e della letteratura che ne tratta in modo da poter valutare tutti i possibili scenari eruttivi futuri.
- Prevenzione del rischio, sulla base dei possibili scenari eruttivi vengono redatti i piani d'emergenza che prevedono come agire in caso di eruzione anche se rimane sempre molto debole o in alcuni casi addirittura inesistente, da parte dei comuni interessati, l'attività di educazione ed informazione della popolazione.
Il Centro Funzionale Centrale per il Rischio Vulcanico (CFC-RV) è la struttura, all'interno della Protezione Civile, che si occupa principalmente dell'acquisizione, dell'elaborazione e della sintesi dei dati. Sulla base delle informazioni pervenute dai vari Centri di Competenza territoriali, il CFC-RV, emette con cadenza settimanale il Bollettino di vigilanza e criticità dei vulcani italiani, fatta eccezione per il vulcano di Stromboli che data la sua persistente attività ha il proprio Bollettino con cadenza giornaliera. Inoltre giornalmente il CFC-RV elabora la mappatura delle aree a rischio per la dispersione di ceneri delle eruzioni dell'Etna (Figura 12) sulla base di modelli matematici e stime delle direzione dei venti prodotte dal modello LAMI (Limited Area Model Italy, è un applicazione operativa di Cosmo (Consortium for Small-Scale Modelling), offre il principale modello numerico meteorologico internazionale). Grazie a questi dati, oltre a sorvegliare i vulcani nazionali, il sistema di allerta offre supporto alle decisioni prese da parte delle autorità competenti per i voli aerei in modo da evitare rotte poco sicure.
Figura 14: Mappa di previsione delle aree potenzialmente interessate da ricaduta di ceneri al suolo in caso di attività esplosiva dell'Etna inerenti al giorno 25/04/2010. (fonte: Sistema Nazionale di Allerta)
Per quel che riguarda il rischio idraulico il DPC si appoggia ai centri di competenza del CIMA (Centro Internazionale di Monitoraggio Ambientale) e del CETEMPS (Centro di Eccellenza di Telerilevamento e Modellistica numerica per la Previsione di eventi Severi), mentre per il rischio idrogeologico ai centri UNIFI-DST (Università degli Studi di Firenze Dipartimento Scienze della Terra), CAMILab (Centro di Competenza della Protezione Civile) e CNR-IRPI (Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica).
Rispetto ai rischi precedentemente elencati le difficoltà sono differenti in quanto molti argini sono di “eredità storica”, per cui in molti casi permane l’incertezza sulle tecniche di costruzione e il tipo di materiale utilizzato. Inoltre agire su argini preesistenti è difficoltoso in quanto essi spesso sono il risultato di stratificazioni e hanno subito modifiche più o meno consistenti in tempi diversi, come esemplificato nel caso riportato in Figura 15. Gli interventi di ripristino e consolidamento potrebbero quindi non dare il risultato sperato.
Figura 15: Modifiche dal 1600 al 1933 dell'argine sinistro dell'Adige a Masi, Padova (Deppo, 2006).
Figura 16: Radar Meteorologico dell’aeroporto Amerigo Vespucci di Firenze.(www.nove.firenze.it).
Proprio per i suddetti motivi gli strumenti e le tecniche di prevenzione sono per lo più mirate alla comprensione dei fenomeni meteorologici estremi così da poter intervenire sul territorio in modo preventivo. Per raggiungere tali obiettivi vengono utilizzate varie tecniche di monitoraggio come ad esempio i radar meteorologici. Questi tipi di radar (Figura 16) sono in grado di rilevare i fenomeni atmosferici connessi alla condensazione dell'umidità presente in atmosfera, così da poterne studiare la velocità ed il moto e predirne le future posizioni nel modo più accurato possibile. Il sistema di Radar Nazionale è ancora in via di completamento. Attualmente sono attivi solo 8 dei 13 radar in possesso del DPC, ma la prospettiva è quella di disporre di una rete di 30 radar di cui 26 fissi e 4 mobili che permetteranno la totale copertura del territorio.
Figura 17: . mappa del radar meteo del giorno 06/07/2012 alle ore 13.25 sull'area della provincia di Bolzano. (http://www.provincia.bz.it)
I dati raccolti con i suddetti strumenti e con molti altri vengono rappresentati attraverso pluviogrammi che esprimono le cumulate di pioggia e in ietogrammi che riproducono le intensità di pioggia nel tempo in mm/h. Inoltre, grazie al lavoro dei Centri Funzionali Regionali e con la collaborazione dei Centri di Competenza che forniscono ulteriori dati ed informazioni ogni giorno vengono sviluppati i Bollettini di Vigilanza Meteo ed in caso di evento eccezionale viene redatta una relazione più dettagliata per aiutare il lavoro della Protezione Civile.
Figura 18: Bollettino di vigilanza meteo del giorno 16 novembre 2010 (fonte: Centro Funzionale Centrale).